La realtà del TERRORISMO: gli aspetti psicologici

Ogni giorno accendendo la televisione, nel giornale, nei social ci arrivano notizie di atti terroristici in varie parti del mondo. Siamo tutti immersi in un contesto internazionale pieno di movimenti geopolitici e di conflitti di varia natura e intensità e non possiamo non accorgerci che un ruolo di primo piano è giocato dal terrorismo. Il riferimento corre subito all’ISIS, ma non va dimenticato che svariati gruppi nel Mediterraneo e non solo, utilizzano il terrorismo come metodo principale per imporsi. Ci si deve così interrogare sulla natura, sulle forme e sulle motivazioni di un fenomeno tanto duraturo nella storia come il terrorismo.Proviamo ad esplorarne insieme le modalità e gli scopi.

Partiamo subito da un aspetto psicologico: il fatto che il nostro cervello stia nel timore costante non è uno scenario piacevole. Quello che dovrebbe essere un istinto di sopravvivenza che si attiva solo in situazioni di emergenza, rimane ancorato nel corpo, inondando il sistema con ormoni che possono danneggiare la salute, influenzare il nostro modo di pensare e prendere decisioni. I terroristi hanno quest’effetto: vogliono farci essere pieni di timore. La paura nei loro confronti. Sempre. Pensano che questo dimostra che sono importanti e faranno di tutto perché questo accada.

La paura è la principale arma psicologica dietro gli atti di terrorismo. È questa paura o l’anticipazione di futuri atti di terrore, che può avere gravi effetti sul nostro comportamento e le nostre menti. Facciamo degli esempi delle strategie del terrore adottate dall’ ISIS:

Le strategie del terrore

parigiQuando il “jihadista John”, un uomo con un accento inglese, ha tagliato la testa allo statunitense James Foley, ha commesso un atto così barbarico che appena riuscivamo a comprendere. Tuttavia, presto si sono verificate doppie decapitazioni, più di 20 alla volta, poi annegarono persone in massa e bruciarono persone mentre erano ancora vive. Possiamo pensare che questi atti possano essere commessi solo da alcuni insensibili e psicopatici ma in realtà sappiamo che l’ISIS inizia a formare ed educare queste persone da bambini e li addestra a commettere atrocità. Tutte queste tecniche sono intenzionali, secondo gli esperti. Più le menti di questi bambini vengono deviate, più potranno commettere atti barbarici da adulti e l’obiettivo del terrorismo è proprio quello di spaventare, sconvolgere il “mondo civilizzato”, assistere ad atti inconcepibili per le nostre menti, tutto allo scopo di ottenere l’arresa al terrorismo.

Tale visione viene condivisa anche da J.Horgan, esperto di terrorismo (professore di Security Studies e direttore del Center for Terrorism and Security Studies dell’ Università del Massachussets, collabora con l’FBI nel gruppo di ricerca sul crimine violento), egli parla di guerra psicologica e dichiara: “E’ pura guerra psicologica. Non vogliono spaventarci o farci reagire, vogliono essere in grado di essere sempre nelle nostre menti affinché crediamo che niente che ora c’è, nel futuro potrà di sicuro esserci”.

Non è un caso, dicono gli esperti, che i terroristi a Parigi abbiamo colpito più posizioni, una dopo l’altra, o che all’aereoporto di Bruxelles ci fosse più di una bomba: questo destabilizza e sembra non abbia una fine.

Numerosi attacchi moltiplicano il terrore psicologico di quel che accade: se vedete il video di Bruxelles, dopo la prima bomba, c’erano molte grida, persone piene di terrore; quando la seconda bomba è esplosa, c’era un silenzio assoluto: erano state influenzate psicologicamente.

Come il nostro cervello reagisce alla paura?

Noi tutti siamo predisposti a reagire al pericolo, è un nostro antico sistema di sopravvivenza che si è perfezionato nel corso dei secoli per tenerci al sicuro. Se ad esempio abbiamo sentito un urlo, istantaneamente, senza rendercene conto, il nostro sistema nervoso invia un segnale dai nostri sensi al centro del cervello, nell’amigdala (percezione della paura). Ormoni come il cortisone e l’adrenalina attivano il nostro corpo: il cuore inizia ad accelerare, la respirazione diventa più veloce e iniziamo a sudare. Siamo pronti alla lotta o   alla fuga.

Un secondo più tardi, attraverso un canale completamente diverso, maggiori informazioni raggiungono il cervello e dobbiamo decidere: la minaccia è reale? Decidiamo, agiamo e quando passa la minaccia, il nostro sistema si raffredda. Problema risolto. Torniamo alla normalità.

Ma se siamo in un costante stato di allerta, lo stress comincia ad aumentare troppo. In primo luogo, non riusciamo più a pensare molto chiaramente poiché la paura supera la nostra capacità di ragionare.

Altre parti del cervello possono attivarsi, ad esempio il “circuito dello striato”, che innesca il pensiero ossessivo o la “corteccia del cingolato anteriore”, che ci pone in un costante stato di allerta.

terrorismo.jpgLe persone che hanno vissuto gli attentati spesso dichiarano di sentirsi tese, di continuare a cercare nell’ambiente segnali di qualcosa che non va o di essere ossessionate e di sviluppare delle abitudini o dei rituali per “tenere a bada le cose cattive” come ad esempio guardare la TV ancora ed ancora per cercare informazioni, leggere tutto quello che riescono nei giornali, e tutto ciò per concentrarsi a respingere il pericolo.

Molte ricerche sull’emozione della paura confermano che “La paura è un’esperienza psicofisiologica ed emozionale complessa che dà luogo ad alterazioni dell’umore, del temperamento, della motivazione e della personalità.” Nel corso del tempo, l’esperienza di paura cronica può diventare un grave disagio psicologico che alla fine può trasformarsi in un disturbo mentale.

La resistenza al terrorismo

Fortunatamente, gli studi mostrano anche che dopo uno shock iniziale, il dolore e anche la depressione, la stragrande maggioranza di noi sembra essere resistenti alle tattiche del terrorismo. Dal punto di vista celebrale e psicologico avviene qualcosa di molto interessante: riusciamo a tornare alla normalità molto rapidamente. Quindi possiamo anche dire che sarà molto difficile per un movimento terrorista, mantenere un costante livello di ansia e paura nel pubblico.

terrGli esperti dicono che siamo in grado di accelerare la nostra “guarigine” cercando sostegno e contatti all’interno della nostra comunità. Ad esempio l’enorme quantità di solidarietà per le strade di Parigi, nei social network di tutto il mondo, il mattino dopo gli attentati, furono un passo di un’importanza cruciale.

La vicinanza, il condividere i pensieri e le emozioni con le persone vicine e infine tornare il più velocemente possibile alla normalità poiché questo è ciò che più fa paura ai terroristi: essere dimenticati.

Dott.ssa Nadia Calderaro

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